Rise of the tyrant | CD | Arch Enemy

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Codice articolo 432583
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81541 München
Germany
kontakt@sonymusic.com
Genere Musicale Melodic Death Metal
Esclusiva EMP No
Media - Formato 1-3 CD
Tema Band
Band Arch Enemy
Tipologia prodotto CD
Data di pubblicazione 21/09/2007
Sesso Unisex

CD 1

  • 1.
    Blood on your hands
  • 2.
    The last enemy
  • 3.
    I will live again
  • 4.
    In this shallow grave
  • 5.
    Revolution begins
  • 6.
    Rise of the tyrant
  • 7.
    The day you died
  • 8.
    Intermezzo liberté
  • 9.
    Night falls fast
  • 10.
    The great darkness
  • 11.
    Ultures

da Riccardo Manazza (07.10.2007) Tra gli Arch Enemy ci deve essere qualcuno che ha cervello da vendere. Si, perché il rischio dopo un album come ‘Doomsday Machine’ era quello di vedere un’altra band sfilare lontano alla ricerca di un’evoluzione "commerciale" improbabile, strada che avrebbe previsto canzoni semplificate e suoni sempre più gonfi. Una scelta che si sarebbe trovata in evidente controtendenza in una scena metal che sta finalmente ricominciando a prendere in considerazione la chitarra come strumento da utilizzare per qualcosa di più dei pochi accordi ultra-pompati. Al contrario vediamo salire in cattedra oltre ogni previsione la coppia di asce dei fratelli Amott, mai così tanto protagonisti e liberi di disegnare melodie affascinanti affini al metal classico e riffing aggressivo ai confini tra death, speed e thrash. In mezzo ai mille cambi di tempo e alle aperture armoniche troviamo disseminati assoli magistrali, figli di gusto e tecnica sopra la media. Moltissimi i registri di suono cambiati, a volte anche nello stesso brano, e altrettante sono le soluzioni diversificanti che portano spesso l’evoluzione delle canzoni verso passaggi inaspettati e assolutamente emozionanti. Molto ben congeniati sono anche le parti più atmosferiche, che altrove avremmo definito di derivazione progressiva, ma che qui vengono spesso utilizzate solo come mini-interludi per aggiungere un mood darkeggiante che si accompagna a meraviglia con il contesto. La sensazione è che la band abbia voluto riavvicinarsi alle proprie radici per proporre così una versione svecchiata e dinamica del metal classico in ogni sua forma. Tra tanta varietà purtroppo spicca per contrasto la monotona voce di Angela Gossow. Per quanto il suo modo di cantare sia incredibilmente aggressivo per una donna è anche vero che il contesto richiederebbe in molti passaggi (basta ascoltare il singolo ‘Revolution begins’) armonie più complesso che lei non è in grado o non vuole proporre. In ogni caso si tratta di un limite sopportabile che non va ad inficiare più di tanto la bellezza di un’opera che nella sua tipologia resta tra le cose migliori ascoltate nell’annata in corso.

da Riccardo Manazza (21.01.2008) Tra gli Arch Enemy ci deve essere qualcuno che ha cervello da vendere. Si, perché il rischio dopo un album come ‘Doomsday Machine’ era quello di vedere un’altra band sfilare lontano alla ricerca di un’evoluzione "commerciale" improbabile, strada che avrebbe previsto canzoni semplificate e suoni sempre più gonfi. Una scelta che si sarebbe trovata in evidente controtendenza in una scena metal che sta finalmente ricominciando a prendere in considerazione la chitarra come strumento da utilizzare per qualcosa di più dei pochi accordi ultra-pompati. Al contrario vediamo salire in cattedra oltre ogni previsione la coppia di asce dei fratelli Amott, mai così tanto protagonisti e liberi di disegnare melodie affascinanti affini al metal classico e riffing aggressivo ai confini tra death, speed e thrash. In mezzo ai mille cambi di tempo e alle aperture armoniche troviamo disseminati assoli magistrali, figli di gusto e tecnica sopra la media. Moltissimi i registri di suono cambiati, a volte anche nello stesso brano, e altrettante sono le soluzioni diversificanti che portano spesso l’evoluzione delle canzoni verso passaggi inaspettati e assolutamente emozionanti. Molto ben congeniati sono anche le parti più atmosferiche, che altrove avremmo definito di derivazione progressiva, ma che qui vengono spesso utilizzate solo come mini-interludi per aggiungere un mood darkeggiante che si accompagna a meraviglia con il contesto. La sensazione è che la band abbia voluto riavvicinarsi alle proprie radici per proporre così una versione svecchiata e dinamica del metal classico in ogni sua forma. Tra tanta varietà purtroppo spicca per contrasto la monotona voce di Angela Gossow. Per quanto il suo modo di cantare sia incredibilmente aggressivo per una donna è anche vero che il contesto richiederebbe in molti passaggi (basta ascoltare il singolo ‘Revolution begins’) armonie più complesso che lei non è in grado o non vuole proporre. In ogni caso si tratta di un limite sopportabile che non va ad inficiare più di tanto la bellezza di un’opera che nella sua tipologia resta tra le cose migliori ascoltate nell’annata in corso.